martedì 27 maggio 2008

Demiurghi


Un giorno d'inverno, precisamente agli inizi del nuovo 2007, inebriato e sciolto dal fumo (come al solito!), riflettevo con Cesare sul linguaggio…ma per arrivarci al linguaggio! È stato come al solito un viaggio mentale, che ci ha portato ad affrontare argomenti meta-linguistici: il significato del linguaggio.

Facciamo un passo indietro all’interno del grande trip, ovvero l’industria pubblicitaria. Essa sempre più nel post-modernismo ha affinato strumenti quali il visivo ed il nome (da intendersi come etichetta) per trasmettere messaggi. L’unione dei due ha prodotto il marchio ed il suo potere evocatore: leggendo solo ADIDAS, il mio cervello è bombardato da migliaia d’immagini e suoni provenienti da spot televisivi, radiofonici, dalla carta stampata, dalla strada, dalla vetrina del rivenditore di questa marca in quel particolare centro commerciale; che mi portano addirittura a ricrearmi nella mente il logo, mentre invece leggo solo il nome scritto con un tipo di carattere anonimo, tipo questo che sto utilizzando. E m’immagino le scarpe, l’abbigliamento sportivo, gli accessori…E mi faccio venire i bisogni, la necessità di possedere quell’oggetto, perché MI SERVE. Se comprassimo veramente per necessità, non ci sarebbe nessuno che fatichi ad arrivare alla fine del mese (scusatemi per la provocazione…vabbè). La massificazione porta a questo: una omologazione dei bisogni, al punto tale che, per impulso, vedendo che tutti si buttano a mare, mi ci butto anch’io. Ma son cose già dette e risapute. Siamo coscienti di ciò che ci sta capitando: dall’inizio del novecento già cercano di dircelo certi pazzoidi…forse ce n’è qualcuno ancora prima. La legge dei più: la massa crea la verità.
I CAPOCCIONI LASSU’ CREANO PER LEI LA VERITA’!!!!! (è un delirio...).
Questo è conseguenza di una forza che assoggetta gli attori sociali, ossia, gia' citato prima, il potere evocativo della parola. E del nome, soprattutto di esso. Viviamo in un mondo (non voglio essere l’ennesimo coglione che torna a ripeterlo…) dove più che la qualità vera e propria, il valore funzionale di una merce, vale la presenza di chi produce qualcosa, la sua reputazione…il suo nome. È l’esistenza più che l’essenza: io ci sono, sono così e non m’importa come tu parli di me, come mi consideri…basta che ne parli! Quel gaio eccentrico c’azzeccò…

Viviamo in un mondo dove il nome dà vita.

Se tu vieni nominato (casuale riferimento al lessico dei reality shows... molto casuale...), sei dappertutto, crei scandali, etc. etc. (per maggiori informazioni su altri metodi di vendita di se stessi, vedi i vari "Novella 2000")- ossia, sei il prezzemolo dappertutto, e ne abbiamo veramente rotte le scatole!-, ricevi delle credenziali…solo per il fatto che tu sia visibile, la gente ti dà credito.

In effetti, e' l’uso che la pubblicità fa del linguaggio, medium per eccellenza. Possedere le chiavi per aprire lo scrigno magico, avere ampia padronanza delle parole, saperle pasticciare a proprio piacimento è la chiave del potere, del successo! E ci girano soldi, menti, bocche da sfamare, sfruttamento attorno a ‘ste faccende! Non sono futilità, mode, cose che, quando ci sono in tv, faccio zapping, perché non voglio vedere la pubblicità e tutto finisce... Son cose serie, con ripercussioni altissime…globali ! La parola di quest’era… Un uso del genere non so se considerarlo criminale o cosa. Le censure e riscritture del passato compiute dal regime stalinista, come da quello nazista, sono ovviamente delle forme di propaganda: creare verità a proprio piacimento ed indurre in qualunque maniera, coercitiva o subdola che sia, una massa di gente a crederci, è un reato. Lo è nei confronti dell’umanità.

Ma come, poi, io e Cesare possiamo farci viaggi mentali insieme? Come interagiamo? Come e perché io capisco un altro individuo che vive nel mio stesso contesto?

Provo a darne una risposta, piu' intuitiva che studiata: tramite una pratica che esiste perché esiste l’uomo, forgiatasi in migliaia d’anni di pratica, uso e utilizzo, durante i quali è sempre stata e sempre sarà mutevole, cangiante. Il fatto che parli in un modo derivato da quello di chi ha parlato nei secoli prima di me e che io stesso contribuisca ad alimentare manipolandolo, mi fa un tutt’uno con la storia. Grazie alle parole che pronuncio, faccio rivivere in me i miei antenati; mediante le citazioni gli autori diventano eterni. Parola strumento della memoria. Colloquiando, ci ricongiungiamo con la storia, nostra genitrice.

Viviamo in un mondo dove il linguaggio dà vita

2 commenti:

Mial ha detto...

Ciao Fedè', sono il tuo amico fedele (marrano!!!). Avevo letto questo tuo post anche sul vecchio blog. Lo trovo interessante e credo che ci siano tante cose giuste. E' bello quello che dici riguardo al fatto che in quello che diciamo, in un certo senso, troviamo unione e collegamento con chi ci ha preceduto.
Lo diceva Bacone: "siamo nani su spalle di giganti".

Riguardo quello che hai scritto sui demiurghi, mi è venuta in mente una riflessione che in realtà faccio spesso. Il fatto che certe cose si sappiano a livello mentale, celebrale direi, non è garanzia di "possesso", di consapevolizzazione. Se così fosse non avremmo problemi riguardo a "vecchi errori" che oggi si commettono ancora (aiutati anche da chi si impegna a riscrivere i libri di storia). La società del marchio ormai oltre ad aver generato il "bisogno" superfluo di alcuni prodotti, ha portato con sè la necessità che sia marchiato, firmato. Ci sono poi alcuni prodotti che si chiamano e si identificano con il marchio, vedi Coca-cola e Nutella. (Quando bevi la ben-cola affermi, e non potrebbe essere diversamente: "che merda di coca-cola!!"). Ahimè un tempo il Demiurgo (di platonica memoria) era colui che plasmava la materia, ora i Demiurghi plagiano qualcosa di più interiore, servendosi proprio della materia.
Ciao bello.

Salamandra ha detto...

"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus".

Sì, sono supponente!

Zazie